Anosognosia. Un deficit nella sfera della consapevolezza
Anosognosia. Un deficit nella sfera della consapevolezza
Anosognosia. Von Monakov già nel 1895 descrisse il caso di un paziente che a causa di una lesione nelle aree primarie della vista manifestava cecità corticale. Ciò che dava rilievo alla patologia di questo paziente era la mancanza di coscienza riguardo il suo deficit. Successivamente nel 1914 Babinski presentò alla Società di Neurologia di Parigi il caso di due pazienti con emiparesi destra e con assenza totale di consapevolezza del loro deficit motorio; fu da allora che la comunità scientifica prese coscienza di questa patologia. L’anosognosia (o nosoagnosia) è una patologia neuropsicologica che causa l’incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico. In particolare, il paziente non ha consapevolezza circa il suo stato di malattia, manifestando invece la ferma convinzione di possedere ancora le capacità che in realtà ha perso in seguito a lesione cerebrale. Se messo alle strette nel doversi confrontare con il suo deficit, il paziente mette in atto delle confabulazioni oppure delle spiegazioni assurde, incoerenti con la realtà dei fatti.
Come si può leggere in “La consapevolezza di sé e i suoi disturbi” (Cantagallo et al.) l’indagine verso questa patologia iniziò soltanto alla fine del XIX° secolo, periodo storico in cui neurologi e psichiatri europei iniziarono a descrivere numerosi casi in cui pazienti con deficit conseguenti a un danno cerebrale manifestavano una mancanza di consapevolezza per la loro condizione. I deficit di cui non sembravano essere consapevoli erano i più vari: andavano dalla cecità corticale (l’inconsapevolezza di non poter più vedere), alla paralisi (convinzione di poter muovere perfettamente gli arti paralizzati). Le conclusioni più importanti che emergono dagli studi sull’anosognosia infatti sono che 1) non esiste una singola lesione che possa spiegare tutte queste osservazioni, e 2) spesso queste persone mantengono intatte le abilità intellettuali e di ragionamento.
Molti pazienti affetti da anosognosia possono avere delle reazioni psicologiche patologiche, che ad esempio per via di un deficit neurologico non possono più muovere l’arto un’apparente mancanza di preoccupazione ed interesse nei confronti dell’arto plegico, definita “anosodiaforia” o, all’opposto, un’ostile avversione nei confronti di esso, atteggiamento che prende il nome di “misoplegia”. Possono manifestarsi fenomeni deliranti e allucinatori concernenti lo spazio corporeo controlesionale, nei quali il paziente può affermare che l’arto appartiene a qualcun altro, negarne l’esistenza, o asserire che è stato sostituito da una struttura di natura non organica. Va inoltre sottolineato che questa tipologia di problematica si trova anche in persone con disturbi psichiatrici senza l’insight della malattia. A livello terapeutico è molto difficile affrontare queste situazioni.
Attualmente, nonostante si sia compresa la gravità dell’anosognosia, probabilmente a causa delle poche scale standardizzate disponibili, la valutazione della consapevolezza di sé non è generalmente inclusa nella valutazioni standard, che hanno la finalità di valutare molte delle funzioni mentali, al fine di inferire la natura delle lesioni e le conseguenti implicazioni. Le valutazioni sono fondamentali ai fini della pianificazione e della realizzazione degli interventi riabilitativi, e ciò risulta particolarmente problematico, in quanto molti ricercatori affermano che, senza un’accurata valutazione e monitoraggio della consapevolezza di sé, ogni intervento nella fase post-acuta dopo un danno cerebrale sarà probabilmente inefficace. Questo può infatti avere delle implicazioni in contesti medico-legali, dove, per esempio, un trattamento urgente per un danno cerebrale in fase acuta potrebbe essere rifiutato da un paziente in quanto non consapevole della propria condizione. O ancora questi pazienti possono far fatica a fornire il proprio consenso all’inserimento in una comunità, oppure alla nomina di un amministratore di sostegno nel caso in cui, per la gravità della malattia, non sono più in grado di vivere in modo indipendente.
Chi si trova a lavorare con persone che potrebbero presentare anosognosia dovrebbe conoscere le complessità implicate dandone la giusta importanza terapeutica. È necessario dimostrare prima l’esistenza di un deficit cognitivo, emozionale o comportamentale e, solo successivamente, utilizzare più misure per stimare gli eventuali disturbi della consapevolezza per i propri disturbi. Infine, è da sottolineare che la consapevolezza di un deficit e quella delle conseguenze ad esso associate possono essere dissociate nel paziente e devono, pertanto, essere valutate separatamente per i vari disturbi.
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