Fibrillazione atriale. Quando lavorare troppo causa aritmie cardiache
Fibrillazione atriale. Quando lavorare troppo causa aritmie cardiache
La fibrillazione atriale. Tra le aritmie cardiache, la fibrillazione atriale è sicuramente la più diffusa. In particolare si tratta di una patologia elettrica degli atri che causa un’alterazione del ritmo cardiaco (appunto, aritmia) ed è eterogenea dal punto di vista sia fisiopatologico che clinico. La fibrillazione atriale presenta costantemente due caratteristiche: l’aumentato rischio trombo embolico e l’attivazione elettrica caotica e rapida del tessuto atriale. In parole più semplici, questa malattia è causata da una “tempesta elettrica” nel sistema di conduzione degli impulsi del cuore per cui le attività di pompaggio degli atri e dei ventricoli non sono più armonizzate tra loro, causando una diminuzione dell’efficienza dell’organo. Coloro che ne soffrono subiscono con maggior frequenza ictus cerebrali o insufficienze cardiache e hanno quindi un maggior rischio di mortalità.
L’University College di Londra ha portato a termine recentemente uno studio, pubblicato poi nell’European Heart Journal (https://academic.oup.com/eurheartj/article/3958185/Long-working-hours-as-a-risk-factor-for-atrial), che ha voluto indagare se lavorare troppo possa avere delle conseguenze negative significative sulla salute fisica delle persone. Per farlo sono state seguite 85.500 persone per un totale di circa 10 anni che quando hanno cominciato a partecipare allo studio godevano di una buona salute. I soggetti sono stati suddivisi a scaglioni in base al totale delle ore settimanali che passavano al lavoro: si partiva da una soglia di circa 35 ore settimanali fino ad un tetto di 55 ore o più. Durante questi 10 anni i ricercatori hanno registrato tutti i nuovi casi di fibrillazione atriale. I risultati hanno mostrato che chi lavorava anche con gli straordinari (per un totale di 55 o più ore) mostrava 5,2 casi di fibrillazione in più ogni 1000 persone rispetto a chi lavorava normalmente (35-40 ore a settimana). Se quindi il fattore di rischio che è stato identificato nella popolazione media è di 12,4 nuovi casi ogni 1000 persone, i lavoratori “instancabili” raggiungono un’incidenza di 17,6 su 1000. E’importante precisare che le analisi multivariabili hanno mostrato che l’associazione non era dovuta a fattori di rischio comuni, circostanze socioeconomiche o stili di vita.
Questi risultati, inoltre, potrebbero dare una risposta più concreta a studi effettuati in precedenza sull’argomento: per esempio, era stato dimostrato che lavorare molto fosse associato ad un maggiore rischio di ictus. Quest’ultimo è infatti favorito dalla fibrillazione atriale.
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