Percezione. Percezione dello spazio: viaggio intracerebrale dei dati spaziali

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Percezione. Percezione dello spazio: viaggio intracerebrale dei dati spaziali

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Percezione. Percezione dello spazio: viaggio intracerebrale dei dati spaziali

Percezione. La percezione del mondo, nel suo stendersi a noi, vengono convogliati e interpretati seguendo un viaggio intracerebrale preciso: dall’emisfero destro all’emisfero sinistro. Questo binario passa su una terra rosa, circoscritta da solchi, incanalature, curve e scissure: il regno della neo-corteccia. Della nostra lunga seppur recente storia evolutiva, la neocorteccia simboleggia un punto d’arrivo, un’esplicita rivoluzione fisiologica rispetto all’animalità del sistema limbico. Essa è il luogo dove risiedono le nostre facoltà superiori, le capacità mentali che ci rendono ‘umani’, e si suddivide in due zone neuroanatomicamente pressoché uguali ma funzionalmente molto diverse l’una dall’altra: gli emisferi. Tra le loro metaforiche mura avvengono ogni secondo processi che, ad un livello operativo, li differenziano nettamente e la comunicazione tra le due parti, come ogni collegamento stradale che si rispetti tra due città comunicanti, richiede di un ponte. Nello specifico caso degli emisferi, il ponte è detto corpo calloso e consente il viavai di informazioni da una zona all’altra del cervello. Considerata questa comunicazione bidirezionale, come avviene la percezione dello spazio?

            percezione                                                                                    Lo spazio per esistere ha bisogno di un osservatore. Quindi, lo spazio senza osservatore non esiste.

Ma non solo: lo spazio è demarcato da pieni e vuoti. Prendiamo una cattedrale. Se contro la cattedrale non si stagliassero l’azzurro del cielo, il grigio della strada e il variopinto manifestarsi delle attività umane, non ci sarebbe un contorno che consenta alla cattedrale stessa di potersi distinguere da tutto il resto. Eppure, nonostante la tenacia della cattedrale nell’affermarsi come entità fisica con un proprio perimetro, se solo tenessimo gli occhi chiusi annulleremmo tutti i suoi sforzi. The beauty is in the eye of the beholder: la bellezza è negli occhi di chi guarda, così come lo spazio. Un esempio che deriva dalla letteratura per chiarire questo concetto è fornito da Carver nel suo racconto Cattedrale, in cui assistiamo ad un dialogo tra un uomo cieco ed un uomo vedente, nel quale il primo domanda al secondo, in seguito ad un tentativo fallito per via verbale, di raffigurargliene una, poiché completamente ignaro della spazialità della stessa, delle sue forme, dei gargoyle, delle vetrate:

  • “E adesso chiudi gli occhi”, mi disse il cieco. E io lo feci. Li chiusi, come mi aveva chiesto. “Sono chiusi?”, disse. “Non fingere”.
  • “Sono chiusi”, dissi.
  • “Tienili così”, mi disse e poi: “Non smettere. Disegna.”
  • “E così continuammo; le sue dita sulle mie mentre andavo su e giù sul foglio. Era una cosa come nessun’altra in vita mia, fino a quel momento. Poi lui disse: “Penso che vada bene così. Secondo me ci sei riuscito”, disse. “Dà un’occhiata: come ti pare?”
  • Io gli occhi li tenevo ancora chiusi. “È bellissima”, dissi.”

Così, nella sua prosa pungente, Carver prova l’assunto di base da cui siamo partiti: senza osservatore non c’è la cattedrale, ma la si può realizzare, con un lavoro fino, di lima, sottile, elegante. L’uomo cieco percepisce la forma della cattedrale e la capisce, fa capire all’amico di averla riprodotta in maniera soddisfacente. Ma come è avvenuta, nel cervello dell’uomo cieco, la percezione dello spazio inizialmente sconosciuto? Iniziamo col distinguere le funzioni dei due emisferi:

  • L’emisfero sinistro è la sede del pensiero razionale, ragiona secondo una logica di cause ed effetti, nomina le cose, le confronta, le ordina, fornisce un senso temporale, astrae, cataloga e, sulla base di queste informazioni, cerca una soluzione coerente e forma un giudizio.
  • L’emisfero destro, invece, procede per intuizioni, ragiona attraverso rapporti e relazioni, carpisce le informazioni nella loro globalità, guarda al quadro completo senza soffermarsi sui dettagli, ha l’immagine completa della situazione e non esprime giudizi di sorta e giunge alla comprensione dell’intero contesto in maniera improvvisa.

L’emisfero destro, detto anche emisfero spaziale, coglie le informazioni relative ai rapporti e le relazioni tra i pieni e i vuoti della cattedrale come un tutt’uno: non riconosce i dettagli che la compongono, ma crea una comprensione globale e indifferenziata. Viceversa, l’emisfero sinistro riesce solo a percepire gli spazi pieni, gli unici che riesce a catalogare, lasciando da parte i rapporti che esistono con i vuoti, valutati incatalogabili dallo stesso emisfero. Allo stesso modo, l’emisfero destro coglie il soggetto stesso come un oggetto formato di vuoti e pieni in relazione con un mondo circostante, mentre l’emisfero sinistro come un unico pieno, indipendente dal resto, costituito solo da sé medesimo. Un emisfero lineare, il sinistro, un emisfero creativo, il destro. Il cieco percepisce la globalità della cattedrale con l’emisfero destro e successivamente, come la mano di entrambi scorre sulla superficie bianca del pezzo di carta, concepisce e si rappresenta i dettagli, i portoni, le finestre, tutto ciò che rende una cattedrale una cattedrale e non altro, e la intravede, si potrebbe dire, nella sua testa, e gli sembra quasi di poterla toccare. Eppure, se il cieco del racconto di Carver non avesse un corpo calloso che consenta la comunicazione di informazioni tra queste due regioni della nostra neo-corteccia, non arriverebbe nemmeno ad una pallida idea della forma esteriore della stessa e, in generale, della percezione dello spazio.

E riguardo le sensazioni che uno spazio può suscitare gli emisferi hanno un qualche ruolo? Questo nel prossimo articolo di neuroarchitettura.

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About Author

Anna Cantagallo

Anna Cantagallo opera nell’ ambito clinico da oltre 25 anni come medico specializzato in neurologia e medicina riabilitativa, esperto di riabilitazione neurologica e neuropsicologica. Fra i suoi casi clinici citiamo Federico Fellini.

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