Morbo di Parkinson
Morbo di Parkinson
CHE COS’È IL MORBO DI PARKINSON?
La malattia di Parkinson è una patologia degenerativa del sistema nervoso centrale che colpisce in Italia circa 230.000 persone. Si prevede che la prevalenza di tale patologia raddoppierà nel corso dei prossimi venti anni a causa soprattutto del crescente invecchiamento della popolazione generale. Il Parkinson rappresenta una costante sfida per la comunità scientifica impegnata a comprenderne le molteplici cause di ordine genetico e ambientale e a individuare trattamenti sia farmacologici sia non farmacologici sempre più efficaci e sicuri.
INCIDENZA E FATTORI DI RISCHIO
In Italia si può calcolare che vi siano attualmente circa 230.000 malati di Parkinson. La malattia è leggermente più frequente nei maschi che nelle femmine:
• Maschi: 60%
• Femmine: 40%
Sempre in Italia si può notare che tra tutti i malati di Parkinson il:
• 5% ha un’età inferiore ai 50 anni
• 70% ha un’età superiore ai 65 anni
Si prevede che entro il 2030 il numero dei casi sarà raddoppiato a causa del crescente invecchiamento della popolazione generale. Oltre all’età superiore ai 65 anni, i principali fattori di rischio per lo sviluppo del Parkinson sono:
• I traumi cranici possono aumentare il rischio di Parkinson, particolarmente se ripetuti (es. pugili)
• La presenza di Stipsi
• La presenza di depressione
• L’aumento del rischio di contrarre la malattia nelle persone esposte ad idrocarburi solventi e pesticidi
• Casi atipici hanno una origine genetica (una persona che ha più varianti genetiche è maggiormente
esposta al rischio di Parkinson)
SINTOMI
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva del sistema nervoso centrale, tipicamente caratterizzata dalla presenza di sintomi motori cardinali quali:
• Bradicinesia: è il sintomo più caratteristico del morbo di Parkinson. Il risultato è una riduzione della
velocità di esecuzione dei gesti motori rispetto alle condizioni normali.
• Rigidità: i muscoli risultano continuamente tesi, anche quando l’individuo affetto da malattia di
Parkinson appare rilassato. Si manifesta con una certa prevalenza a livello dei muscoli flessori del
tronco e degli arti. Inoltre, interessa anche i piccoli muscoli facciali, della lingua e della laringe.
• Tremore: si tratta di un’oscillazione ritmica involontaria, abbastanza regolare, di una parte del corpo. Questo tremore può essere di tipo fisiologico, sempre presente, e può manifestarsi in maniera impercettibile anche durante alcune fasi del sonno. Il tremore può essere presente soltanto nella parte distale degli arti, il capo, la lingua, la mascella e qualche volta il tronco. Durante il moto, nell’individuo colpito da Parkinson, il tremore sparisce o diminuisce in maniera evidente, ma poi ricompare non appena l’arto va ad assumere la cosiddetta posizione di riposo.
Altri sintomi potenzialmente associati al Parkinson sono:
• Perdita del senso dell’olfatto
• Disturbi del sonno
• Costipazione e altri problemi intestinali e della vescica
• La mancanza di espressione facciale
• Dolore al collo persistente
• Scrittura lenta e stretta
• Cambiamenti del tono della voce e della parola
• Braccia che non oscillano liberamente
• Eccessiva sudorazione
• Cambiamenti di umore e di personalità
A dispetto dell’enfasi posta sulla sintomatologia motoria, è apparso evidente negli ultimi anni come sintomi non motori e non dopaminergici siano presenti inevitabilmente nella progressione della patologia, e talvolta anche nella fase che precede l’esordio del disturbo motorio, e quindi la diagnosi clinica. I sintomi non motori possono diventare rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita.
DIAGNOSI E PROGNOSI
L’abilità dello specialista neurologo, pur esperto in disordini del movimento, nell’individuare e interpretare i vari segni va incontro ad un certo grado di soggettività e di errore. Allo scopo di standardizzare e sistematizzare la diagnosi di malattia di Parkinson sono stati elaborati, in ambiti di ricerca, specifici criteri diagnostici. L’applicazione di tali criteri può essere utile a uniformare il processo diagnostico, in particolare nelle prime fasi della malattia, quando la diagnosi è più incerta ed è necessario prendere decisioni rilevanti riguardo il trattamento e la gestione dei sintomi. I due criteri maggiormente utilizzati sono:
• I criteri elaborati dalla UK Parkinson’s Disease Brain Bank: essi richiedono la presenza di bradicinesia
e almeno un sintomo tra rigidità, tremore a riposo o instabilità posturale; prevedono inoltre l’esclusione di altre cause reversibili di sindrome parkinsoniana (per esempio ictus, trauma cranico, patologie neoplastiche, trattamento con neurolettici) e la presenza, in combinazione con i primi due o più sintomi, di tre o più segni alla L-Dopa.
• I criteri di Gelb: essi richiedono, invece, la presenza di almeno due o tre sintomi tra tremore a
riposo, bradicinesia, rigidità o esordio unilaterale. Inoltre richiedono l’esclusione di altre possibili cause di sindrome parkinsoniana (per esempio demenza precedente ai sintomi motori, lesioni focali cerebrali o uso di neurolettici) e una risposta sostanziale e sostenuta alla L-Dopa.
Risulta fondamentale valutare l’accuratezza diagnostica dei vari strumenti a disposizione. Nel caso della malattia di Parkinson la definizione neuropatologica è l’unica possibilità di definizione diagnostica della malattia e quindi l’unico standard di riferimento adeguato per la valutazione dell’accuratezza di qualsiasi altro criterio clinico o strumento diagnostico utilizzato.
TRATTAMENTO
Il trattamento del Morbo di Parkinson può essere di tipo farmacologico in quanto i farmaci dopaminergici sono in grado di compensare efficacemente i principali sintomi motori solo per alcuni anni. In tal caso, però, la risposta terapeutica tende a declinare nel tempo. Inoltre, l’evoluzione cronica progressiva della malattia determina la comparsa di sintomi motori (instabilità posturale, cadute) e non motori (disfunzione cognitiva) responsabili di una grave limitazione personale. Molti studi clinici dimostrano che il trattamento neuromotorio influisce positivamente non solo per le performance motorie del malato ma anche per un sintomo molto comune nel Parkinson, cioè la depressione. Inoltre ha un’azione positiva sull’umore e provoca beneficio al sistema cardio-vascolare. In particolare, il trattamento neuromotorio si avvale dell’utilizzo di stimoli visivi, uditivi o propriocettivi. I programmi riabilitativi integrati con informazioni sensoriali appaiono in grado di indurre benefici di più lunga durata. L’effetto del sensory cueing sembra aiutare i pazienti a focalizzare la propria attenzione sull’attività motoria in corso, trasformando un compito automatico in un compito controllato volontariamente e quindi non più elaborato attraverso il sistema difettoso dei gangli della base.
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