Suicidio: inventato un algoritmo che ne prevede il rischio
Suicidio: inventato un algoritmo che ne prevede il rischio
Suicidio. Il suicidio è l’atto volontario di darsi alla morte. Una persona che tenta o che compie il suicidio è una persona che vuole (atto di volontà) terminare la propria vita. Il suicidio è il gesto autolesionistico più estremo, tipico in condizioni di grave disagio o malessere psichico, in particolare in persone affette da grave depressione e/o disturbi mentali di tipo psicotico. Si calcola che tra lo 0,5 % e l’1,4% delle persone muoia per suicidio. I tassi di suicidio sono aumentati del 60% dal 1960 al 2012 soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. La principale causa del suicidio sarebbe la presenza di un disturbo mentale, in genere appartenente all’area dei disturbi del tono dell’umore e allo spettro dei disturbi psicotici, anche se le cause non possono essere ridotte esclusivamente alla presenza di questi specifici disagi psichici. Per valutare l’effettivo rischio di un comportamento suicida i clinici si avvalgono di una serie di indicatori: i fattori di rischio. I soggetti che desiderano il suicidio spesso mostrano infatti dei segnali che in qualche modo sono indicativi. Alcuni sono campanelli di allarme verbali “non ne vale la pena”, “sarai triste quando me ne sarò andato”, “preferirei essere morto”; altri sono comportamentali come dare via i propri beni oppure dire addio ai propri cari in maniera sentita e inattesa. Sì, questi sono tutti fattori allarmanti, ma forse la prevenzione e soprattutto l’individuazione di un eventuale pensiero di un atto suicida dovrebbe collocarsi prima di questi comportamenti, soprattutto al fine di evitarli.
Nel panorama della valutazione clinica del rischio suicidario è stata introdotta una nuova misura valutativa che valuta le alterazioni nelle rappresentazioni neurali di alcuni concetti relativi alla morte e alla vita di persone che hanno pensieri suicidari: un algoritmo software. Lo studio (https://www.nature.com/articles/s41562-017-0234-y) è stato condotto da Matthew Nock della Harvard University di Boston. Il lavoro ha coinvolto 34 soggetti: 17 avevano avuto pensieri suicidari o avevano tentato l’estremo gesto, mentre le altre 17 costituivano il gruppo di controllo (non a rischio suicidio). Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti a risonanza magnetica cerebrale nel mentre che era richiesto loro di analizzare 3 elenchi di 10 parole l’uno, comprendenti parole positive e parole che richiamavano concetti negativi come “morte”. Tra le parole proposte 6 sono quelle che discriminavano i soggetti del gruppo di controllo da quelli con pensieri suicidari: morte, crudeltà, problema, elogio, spensieratezza, buono. Sulla base di queste informazioni (parole e immagini cerebrali associate) i ricercatori hanno elaborato un algoritmo in grado di prevedere il rischio suicidario. L’algoritmo è riuscito a discriminare a discriminare 9 ideatori suicidi che avevano fatto un tentativo di suicidio nel corso degli anni successivi da 8 che non ne avevano fatto alcuno, dimostrando quindi un’elevata precisione. La validità di questo sistema dovrebbe essere chiaramente dimostrata su un più ampio campione di soggetti e nel caso fosse dimostrata sarebbe veramente un elemento fondamentale per capire chi davvero è a rischio suicidio e poter così delineare un intervento specifico per queste persone.
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