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Obesità. Una bilancia interna può aiutare a combatterla

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Obesità. Una pericolosa condizione da cui la medicina ci mette in guardia, ma allo stesso tempo, se non prendiamo le giuste precauzioni, la direzione verso cui siamo spinti da questa la società. La disponibilità e la convenienza di “cibi spazzatura” insieme alla sedentarietà a cui siamo costretti dal lavoro di oggi, infatti, sono i principali cause dell’obesità. Può essere considerata la patologia tipica del mondo occidentale e in generale delle società del benessere. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, stabilisce i criteri per determinare lo stato di obesità attraverso l’Indice di Massa Corporea (IMC), che mette a rapporto la massa espressa in chilogrammi e il quadrato dell’altezza espressa in metri. Per essere normopeso, bisogna avere un IMC compreso tra 18,50 e 24,99. I valori al di sotto di questa soglia definiscono i soggetti sottopeso e gravemente sottopeso (IMC < 16), mentre i valori al di sopra di 24,99 definiscono i soggetti sovrappeso (25 < IMC < 29,99), con obesità moderata (30 < IMC < 34,99), con obesità grave (35 < IMC < 39,99) e con obesità gravissima (IMC ≥ 40).

obesità

Come agisce il nostro organismo in risposta a un aumento di peso? L’obiettivo del nostro corpo è di mantenere l’omeostasi, questo significa che il nostro organismo risponde all’aumento o alla riduzione del tessuto adiposo producendo un ormone, la leptina. Questo ormone viene prodotto dal tessuto adiposo e inviato all’ipotalamo, nel Sistema Nervoso Centrale, deputato al controllo del peso, della fame, della temperatura corporea. Se viene registrato un aumento di massa grassa, la secrezione di leptina aumenta per comunicare all’ipotalamo che bisogna ridurre l’apporto di cibo; la leptina riduce il senso di fame e aumenta la produzione di energia per mantenere il peso corporeo costante, contribuendo così al mantenimento dell’omeostasi. Ma un po’ di massa grassa è necessaria, altrimenti non riusciremmo a controllare la nostra temperatura corporea! Ecco perché la leptina non è prodotta quando si registra una riduzione di massa grassa, così da comunicare all’ipotalamo che è necessario aumentare l’assunzione di cibo.

Finora, l’unico regolatore omeostatico della massa grassa conosciuto è la leptina. Alcuni ricercatori della Sahlgrenska Academy, University of Gothenburg, Svezia, hanno ipotizzato l’esistenza di un secondo regolatore del peso corporeo, indipendente dalla leptina. Nel loro studio (http://www.pnas.org/content/115/2/427.full), pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i ricercatori hanno trovato prove dell’esistenza di una sorta di bilancia interna che contribuirebbe a tenere il nostro peso corporeo sotto controllo. Il peso corporeo verrebbe, infatti, registrato negli arti inferiori: “Se tende ad aumentare, viene inviato un segnale al cervello per ridurre l’assunzione di cibo e mantenere costante il peso”, spiega John-Olov Jansson, professore alla Sahlgrenska Academy.

Lo studio è stato condotto su roditori obesi che i ricercatori hanno reso artificialmente più pesanti caricandoli di pesi extra. Gli animali hanno perso peso quasi quanto il peso artificiale. I pesi extra hanno consentito non solo la riduzione del peso corporeo ma anche un miglioramento dei livelli di glucosio nel sangue. Questo sistema regolatore della massa grassa è il primo nuovo sistema ad essere individuato dopo la scoperta della leptina, avvenuta 23 anni fa in America. I ricercatori hanno concluso, quindi, che la leptina non potrà costituire l’unica forma di trattamento dell’obesità. Infatti, il professore Claes Ohlsson della Sahlgrenska Academy, Gothenburg University, sostiene: “Il meccanismo che abbiamo identificato regola la massa grassa corporea indipendentemente dalla leptina, ed è possibile che la leptina unita all’attivazione della bilancia corporea interna possa diventare un trattamento efficace per l’obesità”. Inoltre il ricercatore sottolinea che la bilancia interna funzionerebbe soltanto quando siamo in piedi. “Noi crediamo che la bilancia corporea interna offra una misura inaccuratamente bassa quando si è seduti. Di conseguenza, si tende a mangiare di più e a prendere peso”, afferma Claes Ohlsson. Ecco perché la sedentarietà ci fa ingrassare!

“Pensiamo alle condizioni, cliniche e non, di un uomo che aumenta il suo peso, anche in assenza di aumento di massa grassa o massa muscolare: l’inserimento di una protesi, o la necessità di un apparecchio gessato o di un tutore. Sono tutte situazioni che attivano, come nei roditori della ricerca, la nostra bilancia interna, e che ci permettono di ri-equilibrare il nostro peso globale (corpo + introduzione di un oggetto esterno nello schema mentale del nostro corpo).” descrive Anna Cantagallo, medico neurologo e fisiatra, direzione scientifica del centro clinico e di ricerca BrainCare.

Se stai pensando di dimagrire perché credi di essere in una condizione di sovrappeso/obesità, sappi che presso BrainCare puoi trovare i Programmi BrainFood che, oltre a permetterti di raggiungere il tuo peso forma e rimodellare il tuo corpo, ti consente anche di acquisire la consapevolezza e i comportamenti necessari a mantenere il peso nel tempo e a raggiungere uno stato di benessere fisico e psicologico, anche attraverso i piaceri della tavola. Puoi trovare maggiori informazioni al seguente link: http://www.braincare.it/palestra-nutrizionale/.

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Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

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Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

Obesità – Anna Cantagallo spiega come l’obesità sia un fattore di rischio non soltanto per le malattie cardiovascolari, ma anche per quelle neuro-degenerative

L’Obesità è una patologia riconosciuta come fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e come principale responsabile dell’insulino resistenza, che precede lo sviluppo del diabete di tipo 2.

Anna Cantagallo racconta che negli ultimi anni le ricerche hanno dimostrato l’esistenza di meccanismi molecolari comuni anche tra obesità e malattia di Alzheimer, indicando il coinvolgimento di determinate molecole intracellulari in entrambe le patologie.

Identificare queste molecole e considerarle come target terapeutici potrebbe rappresentare un grande passo avanti nella comprensione dei meccanismi di queste malattie ed un eccellente strategia per sviluppare nuove terapie.

Uno studio di Rodriguez-Casado del 2016 analizza l’ipotesi del legame tra le due condizioni.

Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

Conseguenze metaboliche dell’obesità: quali sono e quale il legame con l’Alzheimer?

“L’insulino resistenza – spiega Anna Cantagallo – è un’alterazione metabolica in cui le cellule non riconoscono l’insulina, portando ad un aumento del livello di glucosio nel sangue.

L’iperglicemia a sua volta stimola l’iperinsulinemia nel pancreas, che con il tempo porta l’organismo a sviluppare una condizione di diabete di tipo 2.

Il tessuto adiposo nei soggetti obesi secerne dei mediatori pro-infiammatori denominati adipochine che, insieme all’eccesso di acidi grassi liberi, contribuisce a sviluppare uno stato d’insulino resistenza. Le adipochine attraversano la barriera ematoencefalica, attivando le cellule della microglia che risiedono nel sistema nervoso centrale e inducendo nel cervello una risposta locale infiammatoria inizialmente protettiva, ma che diventa poi deleteria quando si arriva a uno stato d’iperattivazione.

Questo induce una continua secrezione di citochine che provoca un perpetuarsi della neuro-infiammazione.

Difatti è stato provato che la quantità di microglia in persone con Alzheimer è maggiore rispetto ai cervelli sani, e che bloccare la neuro-infiammazione diminuisce i problemi di memoria derivati dalla malattia e ne rallenta la progressione.”

Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

E i meccanismi tipici della malattia di Alzheimer come si relazionano all’obesità?

“Ci sono evidenze che indicano che la segnalazione infiammatoria da parte del fattore di necrosi tumorale attivi chinasi sensibili allo stress.

Questo fa sì che si blocchi l’azione intracellulare dell’insulina causando disfunzione sinaptica e deterioramento dell’ippocampo.

Un’adeguata segnalazione dell’insulina nel sistema nervoso centrale assicura la sopravvivenza neuronale e regola processi chiave dell’apprendimento e della memoria, inclusa la plasticità dendritica e le connessioni sinaptiche. In alcuni modelli animali di obesità è stato descritto uno stato d’insulino resistenza derivante da un’infiammazione nell’ipotalamo, regione cerebrale chiave nell’interazione tra sistema nervoso centrale e sistema endocrino.

Una neuroinfiammazione prolungata rende vulnerabili determinate funzioni dell’ippocampo associate con l’immagazzinamento e la formazione di memorie.

Uno studio effettuato su cervelli di diabetici con Alzheimer mostra livelli dell’interleuchina 6 superiori rispetto a quelli riscontrati in cervelli con Alzheimer non diabetici, suggerendo che il diabete possa aumentare la vulnerabilità a disequilibri del sistema infiammatorio.

Qualsiasi alterazione nei segnali neuronali dell’insulina produce neuroinfiammazione, stress ossidativo e deficit energetico. È molto probabile che la reazione d’insulino resistenza periferica nel diabete di tipo 2 e l’alterazione del segnale cerebrale dell’insulina nell’Alzheimer siano processi mediati da meccanismi similari.

Gli studi su questa malattia suggeriscono sempre più che si tratti di un’infermità metabolica in quanto l’uso del glucosio e la sensibilità del cervello all’insulina risultano alterarsi in maniera progressiva.

Ciò provoca perdita neuronale, disfunzione sinaptica, iperfosforilazione della proteina tau e neuroinfiammazione.”

Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

Che conclusioni trarre da questi studi?

“Nonostante la scoperta di questi meccanismi molecolari comuni occorre tenere a mente che attualmente non esiste nessun trattamento in grado di curare la demenza di Alzheimer – racconta Anna Cantagallo.

Tuttavia viene messa in risalto l’importanza della prevenzione dell’obesità in quanto consiste in un significativo fattore di rischio che oltre a far sviluppare un diabete di tipo 2 ha effetti patogenetici a livello cerebrale.

La prevenzione può essere attuata attraverso la promozione di abitudini salutari nell’ambito dell’alimentazione e dell’esercizio fisico, e attraverso farmaci specifici per le alterazioni metaboliche.

Questi studi riguardanti la relazione tra disfunzione metabolica e neurodegenerazione aprono nuovi orizzonti per l’investigazione di bersagli terapeutici che potrebbero risultare promettenti per arrestare l’avanzamento dell’Alzheimer.”

Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

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Obesità: fattore di rischio per l’Alzheimer?

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